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Protesi mammarie e sicurezza. A che punto siamo?

Protesi mammarie e sicurezza. A che punto siamo?


Mer 17/04/2019 | Dott. Guido Maronati

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Questo piccolo articolo divulgativo, in cui ci occupiamo esclusivamente delle protesi in gel di silicone per finalità estetiche, si propone come fonte delle cognizioni di base, delle referenze e delle posizioni degli organi ufficiali perché chiunque possa iniziare a farsi un’idea dei fatti e delle conoscenze attuali.

Zoom sulle protesi mammarie in gel di silicone
Le protesi mammarie sono dispositivi medici di classe III (Ministero della Salute) impiegati in chirurgia estetica per aumentare il volume del seno, e in chirurgia plastica-ricostruttiva per la correzione di malformazioni congenite o di origine traumatica e la ricostruzione della mammella post-mastectomia.

Grazie a un’offerta molto ampia oggi possiamo scegliere tra dispositivi diversi per caratteristiche fisiche, struttura superficiale (texture) e composizione chimica (1). La scelta delle protesi è orientata dalle preferenze del chirurgo e della paziente, dall’anatomia di partenza e dal risultato estetico atteso, ma non può mai prescindere dalle loro caratteristiche fisiche, le sole a poterne condizionare la performance clinica. Ciò è particolarmente vero per la texture delle protesi –elemento centrale nella risposta del tessuto mammario (2).

Le protesi lisce, il cui guscio in silicone non presenta irregolarità superficiali, sono indicate per il posizionamento retromuscolare. La loro microstruttura priva di pori riduce il rischio di proliferazione batterica (formazione del cosiddetto biofilm), e dunque in caso di infezione si avrà una migliore risposta alla terapia farmacologica. Per contro, la ridotta aderenza tra protesi e tessuto biologico aumenta il rischio di rotazione o dislocazione della protesi (3)

Le protesi testurizzate, caratterizzate da una rugosità superficiale più o meno grossolana e complessa che va dalla macro- alla nano-testurizzazione, sono le uniche indicate per tutte le metodiche di impianto – retromuscolare, retroghiandolare, retrofasciale e dual-plane, hanno un guscio multistrato relativamente spesso e molto resistente alla rottura, presentano un minor rischio di ondulazione superficiale (rippling), e grazie alla loro microstruttura offrono la massima aderenza al tessuto mammario, a garanzia di un minor rischio di rotazione o dislocazione (4, 5).

IMMAGINE DEI 4 TIPI DI POSIZIONAMENTO 

Il corpo e le protesi
Quando si impianta una protesi, l’organismo la riconosce come elemento estraneo e dà il via a una risposta immunitaria che porta alla formazione progressiva di una capsula di fibre collagene. Come un vero e proprio involucro, la capsula finisce per avvolgere l’intero impianto per “isolarlo” dal resto del corpo.
La formazione della capsula è una risposta fisiologica del tutto normale, ma può diventare critica quando la capsula si contrae intorno alla protesi fino a deformare, indurire e indolenzire la mammella in una complicanza nota come “contrattura capsulare”. La struttura superficiale della protesi mammaria può incidere sulla formazione della capsula, e nello specifico sulla sua struttura e morfologia, sulla sua aderenza al tessuto circostante – che tende ad aumentare, e anche sull’organizzazione delle sue fibre (6).

Il caso che non c’è
Alla fine del mese di marzo 2019 l’ente americano FDA  ha convocato un tavolo di confronto  con esperti al massimo livello per discutere le recenti evidenze riguardo al rischio di malattia e complicanze associati alle protesi mammarie. In particolare, l’esigenza dell’incontro nasce dalla segnalazione di alcuni casi di un raro tipo di tumore, il linfoma anaplastico a grandi cellule associato alle protesi mammarie (BIA-ALCL, Breast-Implant Associated-Anaplastic Large Cell Lymphoma).

Il linfoma anaplastico a grandi cellule, le cui cause non sono state chiarite, è un tumore del sistema immunitario così raro (prevalenza 1-9/100.000) da comparire di diritto nel database delle malattie orfane (Orphanet). Nel caso del linfoma associato alle protesi mammarie, a livello globale i numeri ufficiali al 4 aprile 2019 riguardano complessivamente circa 800 casi su 10-35 milioni di pazienti impiantati (con protesi lisce e testurizzate), e 41 casi in Italia su 411.000 protesi impiantate negli ultimi 8 anni, per la maggior parte (>95%) testurizzate (Ministero della Salute).

Per completezza di informazione, vale la pena ricordare che la prevalenza del cancro del seno (carcinoma della mammella) su base annuale è sensibilmente più elevata, con più di 2 milioni di casi diagnosticati ogni anno nel mondo (World Cancer Research Fund), di cui più di 316.000 negli USA (Breast Cancer Society), 464.000+ in Europa e più di 50.000 solo in Italia (Collegio Italiano dei Senologi).

 

BIA-ALCL, le ipotesi
La patogenesi del linfoma associato alle protesi mammarie e i suoi fattori di rischio non sono ancora stati chiariti, e tra le ipotesi riportate in letteratura nessuna è supportata da dati conclusivi.

In Barr 2018 le protesi testurizzate solleciterebbero una risposta immunitaria a livello locale più marcata rispetto a quella osservata con le protesi lisce (8), in Brown 2018 il particolato della texture potrebbe essere un fattore di maggior rischio (9), in Lechner 2012 e Wolfram 2012 la differenza tra protesi testurizzate e protesi lisce è che le prime disperderebbero particolato di silicone, incoraggiando il rilascio di citochine proinfiammatorie e di altri fattori che a loro volta indurrebbero chemiotassi e replicazione delle cellule T (10, 11).

Nel 2016 Hu (12), dopo aver dimostrato la presenza ubiqua di batteri nelle capsule normali e anormali ha ipotizzato che la formazione di una membrana di batteri gram-negativi nel biofilm (la comunità di microbi attaccati alle protesi) possa contribuire all’iperplasia linfocitaria.

L’insieme di queste osservazioni ha portato a ipotizzare che all’origine del linfoma anaplastico a grandi cellule associato alle protesi mammarie vi sia una popolazione linfoproliferativa di cellule T aberranti reattive (13) o in altre parole, una reazione massiva del sistema immunitario.

Il 4 aprile 2019, con una decisione unilaterale in netto contrasto con le conclusioni della Task Force Europea  appositamente costituita e dei maggiori enti e società scientifiche mondiali, la Francia (ANSM) ha vietato l’impiego di alcune protesi macro-testurizzate.

 

La decisione, che si è aggiunta al ritiro pianificato di alcuni tipi di protesi testurizzate da parte di uno dei maggiori produttori mondiali, ha contribuito a inasprire il dibattito, provocando preoccupazione e panico nelle pazienti.

 

Ciò che oggi risulta evidente analizzando la posizione assunta dalle maggiori autorità regolatorie internazionali – dall’FDA americana all’ANVISA brasiliana, fino alla stessa ANSM – è in primo luogo che non vi è, in alcun paese del mondo, raccomandazione per l’espianto preventivo delle protesi mammarie già impiantate.

In merito, in un comunicato del 21 dicembre 2018, i cui concetti sono stati ribaditi il 4 febbraio 2019, il Ministero della Salute si esprime in questi termini: “ad oggi non sussiste alcun incremento del rischio e non vi è alcuna indicazione al richiamo dei pazienti già impiantati. Nessun ulteriore controllo clinico di follow-up deve essere eseguito in aggiunta a quanto regolarmente già prescritto dal proprio medico curante”.

Il Ministero, che ha rinforzato le attività di vigilanza, attivato un apposito registro sperimentale e avviato nuove ricerche in materia, raccomanda alle portatrici di protesi di sottoporsi “ai regolari controlli di follow-up indicati dal proprio medico curante e prescritti con cadenza variabile in base alla condizione clinica del singolo paziente”, sottolineando l’importanza per i medici di “approfondire le indagini diagnostiche nel caso in cui il paziente sviluppi la comparsa di un sieroma freddo tardivo, una massa adiacente l’impianto o una importante contrattura capsulare spesso associata anche ad una esile falda di siero periprotesico. Indagini citologiche sul siero e/o istologiche ed immunoistochimiche sul tessuto capsulare consentiranno di porre una corretta diagnosi”.

 

Bibliografia

(1) Atlan, Michael, et al. "Characterization of breast implant surfaces, shapes, and biomechanics: a comparison of high cohesive anatomically shaped textured silicone, breast implants from three different manufacturers." Aesthetic plastic surgery40.1 (2016): 89-97.
(2) Harvey, Alison G., Ernie W. Hill, and Ardeshir Bayat. "Designing implant surface topography for improved biocompatibility." Expert review of medical devices 10.2 (2013): 257-267.
(3) Danino, Michel A., et al. "Capsular biofilm formation at the interface of textured expanders and human acellular dermal matrix: a comparative scanning electron microscopy study." Plastic and reconstructive surgery 141.4 (2018): 919-928.
(4) Derby, Brian M., and Mark A. Codner. "Textured silicone breast implant use in primary augmentation: core data update and review." Plastic and reconstructive surgery 135.1 (2015): 113-124.

(5) Headon, Hannah, Adbul Kasem, and Kefah Mokbel. "Capsular contracture after breast augmentation: an update for clinical practice." Archives of plastic surgery 42.5 (2015): 532.
(6) Efanov, J. I., et al. "Breast-implant texturing associated with delamination of capsular layers: A histological analysis of the double capsule phenomenon." Annales de Chirurgie Plastique Esthétique. Vol. 62. No. 3. Elsevier Masson, 2017.
(7) Mehta-Shah, Neha, Mark W. Clemens, and Steven M. Horwitz. "How I treat breast implant–associated anaplastic large cell lymphoma." blood 132.18 (2018): 1889-1898.
(8) Barr, Simon Patrick, Ernie W. Hill, and Ardeshir Bayat. "Novel proteomic assay of breast implants reveals proteins with significant binding differences: implications for surface coating and biocompatibility." Aesthetic surgery journal 38.9 (2018): 962-969.
(9) Brown, Tim, Fraser Harvie, and Sharon Stewart. "A different perspective on breast implant surface texturization and anaplastic large cell lymphoma (ALCL)." Aesthetic surgery journal 39.1 (2018): 56-63.
(10) Lechner, Melissa G., et al. "Survival Signals and Targets for Therapy in Breast Implant–Associated ALK− Anaplastic Large Cell Lymphoma." Clinical Cancer Research 18.17 (2012): 4549-4559.

(11) Wolfram, Dolores, et al. "T Regulatory Cells and TH17 Cells in Peri–Silicone Implant Capsular Fibrosis." Plastic and reconstructive surgery 129.2 (2012): 327e-337e.
(12) Hu, Honghua, et al. "Bacterial biofilm infection detected in breast implant–associated anaplastic large-cell lymphoma." Plastic and reconstructive surgery 137.6 (2016): 1659-1669.

(13) Kadin, Marshall E., et al. "CD30+ T cells in late seroma may not be diagnostic of breast implant-associated anaplastic large cell lymphoma." Aesthetic surgery journal 37.7 (2017): 771-775.

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Maronati Guido

Autore

Chirurgia plastica,Medicina estetica

Milano (MI)


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